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Review: Lacci

  • ilgiardinoinglese
  • 29 mar 2021
  • Tempo di lettura: 3 min

Mai come in questo caso la copertina è perfetta per il contenuto, infatti Lacci per me è la storia dell'inciampo della vita quando siamo legati "male".




Lacci - Domenico Starnone

_ pag. 132 _Einaudi_ 1° ediz. 2014


Ho dovuto prendermi un pò di tempo per evitare di concludere la recensione con un semplice "Lei cretina, ma lui che gran cogl...." per citare una canzone di Mina.


La storia narra di una coppia, del loro matrimonio e della separazione poi ricucita. Non è uno spoiler tranquilli, è un colpo di scena che si rivela prestissimo. Questa sintesi però non rende affatto giustizia al bellissimo testo che è, senza parlare del finale. Uno dei finali più meravigliosamente spiazzanti di tutti i tempi.


La scrittura è mediamente asciutta e diretta, apparentemente semplice ma carica di significati estrinsechi. La struttura della trama è suddivisa in 3 macro capitoli: quello della moglie, quello del marito, quello dei figli. Scelta che trovo perfetta per questa storia.


Entrando nel dettaglio di questa coppia abbiamo: il Lui che aderisce a ideologie pseudo libertine (mancate) non accorgendosi di sprofondare nel più classico dei clichè immaturi e la Lei, non da meno, ma in altra direzione: quanto è difficile lasciar andare una relazione che non porta serenità?


Nonostante il mio fastidio iniziale nel leggerlo, questo romanzo non romanzato insegna molte cose:

  • l'assenza del dialogo non porta da nessuna parte;

  • il desiderio del "nuovo" senza mantenere gli impegni presi non è da persone mature;

  • non si può e non si deve vivere per gli altri;

  • si deve lavorare su se stessi e bastarsi;

  • bisogna prendersi le proprie responsabilità senza annullarsi o rinunciare ai nostri desideri;

  • si deve vivere il momento capendo davvero quanto sia importante, senza dare per scontate le cose;

  • le cose rotte non si possono (e non si dovrebbero) riparare senza lasciar segno del danno e a quel punto bisogna creare una cosa nuova dimenticando il passato oppure cambiare ed eventualmente, perchè no, sostituire;

  • non si deve far figli perchè "è ora", o "sono ancora giovane";

  • non usare i figli come specchietto per allodole e per sensi di colpa;

  • non ci si dovrebbe sposare da giovani (infatti il 95% delle coppie che conosco, sposate presto, sono già tutte divorziate ai 30 anni, o prima.);

  • le azioni e scelte dei genitori, generano figli grati o ingrati, e non sempre giustamente.


Per carità sposarsi e figliare prima dei 28 anni è una scelta, ma siamo sicuri che insegni davvero qualcosa? Non sarebbe meglio nutrire se stessi e crescersi prima di legarsi a una persona? Per dare per lo meno un vero senso e un peso a quel legame, e non attriburigli esclusivamente un ruolo socio economico, meramente passionale o dopo poco abitudinario.


Ecco, questo romanzo fa porre delle domande... e nonostante sia leggermente una lettura "per vecchi", passatemi il termine, il fatto che ponga questioni sulla vita relazionale e sul significato dei figli, fa sì che lo annoveri tra le letture che dovrebbero essere obbligatorie a 20 anni, sia per capire ciò che si vuole ma soprattutto (e forse ben più importante) cosa non si vuole!


In sostanza, ne consiglio la lettura ai sessantottini sognatori e/o pentiti, ai 20enni per chiarirsi le idee e ai 30/40enni per capire dove stanno sbagliando (o meno), così da riprendere in tempo la vita nelle proprie mani e imparare davvero che chi semina vento raccoglie tempesta e i cocci sono i suoi.


Veronica

 

Consigliato per appassionati di:

Relazioni - Dinamiche familiari


Quarta di copertina:

"Se tu te ne sei scordato, egregio signore, te lo ricordo io: sono tua moglie". Si apre cosi la lettera che Vanda scrive al marito che se n'è andato di casa, lasciandola in preda a una tempesta di rabbia impotente e domande che non trovano risposta. Si sono sposati giovani all'inizio degli anni Sessanta, per desiderio di indipendenza, ma poi attorno a loro il mondo è cambiato, e ritrovarsi a trent'anni con una famiglia a carico è diventato un segno di arretratezza più che di autonomia. Perciò adesso lui se ne sta a Roma, innamorato della grazia lieve di una sconosciuta con cui i giorni sono sempre gioiosi, e lei a Napoli con i figli, a misurare l'estensione del silenzio e il crescere dell'estraneità. Che cosa siamo disposti a sacrificare, pur di non sentirci in trappola? E che cosa perdiamo, quando scegliamo di tornare sui nostri passi? Perché niente è più radicale dell'abbandono, ma niente è più tenace di quei lacci invisibili che legano le persone le une alle altre. E a volte basta un gesto minimo per far riaffiorare quello che abbiamo provato a mettere da parte. Domenico Starnone ci regala una storia emozionante e fortissima, il racconto di una fuga, di un ritorno, di tutti i fallimenti, quelli che ci sembrano insuperabili e quelli che ci fanno compagnia per una vita intera.

 

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